Come si calcola il risarcimento del danno

Il calcolo del risarcimento del danno è un’operazione complessa, che va affidata a figure professionali di assoluto livello e che possano dare al giudice una valutazione oggettiva ed esaustiva del danno, comprese le misure che è possibile ripristinare con il risarcimento.
Per calcolare il risarcimento del danno, però, occorre capire qual è la tipologia di danno che si è subita, se patrimoniale o non patrimoniale. Nel caso del danno patrimoniale, poi, bisogna distinguere tre ulteriori tipi di danno, ovvero biologico, morale ed esistenziale.
Sulla base di questa distinzione, è possibile calcolare il danno, sulla base di alcuni criteri definiti dalla legge, come le tabelle milanesi, strumenti molto utili sia al giudice che al perito che esaminerà il procedimento.

Come si calcola il risarcimento del danno patrimoniale: presupposti

Quando si parla di danno patrimoniale, si fa riferimento a due tipi distinti di danno: il danno emergente e il lucro cessante.
Il danno emergente è il danno che un soggetto subisce quando deve attingere al proprio patrimonio per rimediare alla situazione che ha provocato il danno. La situazione più classica presa d’esempio è quella di un intervento chirurgico che non è andato bene a causa di una scarsa prestazione da parte del medico, e quindi il soggetto dovrà pagare per un ulteriore intervento correttivo.
Il lucro cessante, invece, è il danno che si verifica quando il soggetto vede una situazione futura di mancato guadagno o di perdita di future opportunità lavorative. In questo caso il soggetto è obbligato a fornire una prova rigorosa del danno e delle sue conseguenze.
Il presupposto è, quindi, un danno che scaturisce da una condotta illecita, contrattuale o extracontrattuale. Questo presupposto dà luogo al risarcimento del danno, di natura patrimoniale o non patrimoniale.
Vediamo come si calcola il risarcimento per entrambi i tipi di danno.

Il calcolo del risarcimento del danno emergente

Il risarcimento del danno emergente viene calcolato dal giudice sulla base della perdita di patrimonio che il soggetto è tenuto a dimostrare. Semplicemente, il giudice sentenzierà che la parte che ha causato il danno è tenuta a risarcire alla parte danneggiata l’ammontare di patrimonio perso.
Può capitare, però, che non sia possibile calcolare con precisione l’ammontare del danno. In questo caso il giudice lo liquiderà in via equitativa, ovvero verrà stabilita una somma equa per il danno calcolato. La perdita di patrimonio, però, deve essere attendibile e con ragioni fondate.

Il calcolo del risarcimento del lucro cessante

Il calcolo del lucro cessante è un’operazione complicata, perché non sempre è possibile stabilire con precisione quanto un individuo avrebbe guadagnato se non fosse accaduto un determinato evento.
Prima di passare al calcolo del danno da lucro cessante, però, bisogna esaminare le conseguenze del danno.
La prima è quella relativa all’impossibilità di utilizzare un bene. Il soggetto, semplicemente, non potrà più utilizzare un bene che era indispensabile per produrre guadagno.
La seconda conseguenza di un fatto illecito è quella che si ha quando si verifica la mancata realizzazione di rapporti contrattuali relativi ai danni futuri, ovvero la perdita o la diminuzione della capacità lavorativa o della capacità di versare prestazioni assistenziali.
I criteri per determinare il danno da lucro cessante li ha stabiliti la Cassazione con la sua sentenza n.11759 del 15 maggio 2018.
Bisogna distinguere il lavoratore dipendente dal lavoratore autonomo:
• Lavoratore dipendente: il calcolo avviene sulla base del reddito da lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni previste per legge.
• Lavoratore autonomo: il calcolo avviene sulla base del reddito netto più alto dichiarato dal soggetto danneggiato negli ultimi tre anni. Il reddito dichiarato è quello ai fini IRPEF. Il giudice, in questo caso, prenderà in considerazione la base imponibile e non il reddito residuo.

Il calcolo del danno biologico

Passiamo adesso ad esaminare il calcolo del danno biologico, ovvero la prima tipologia di danno non patrimoniale.
Il danno biologico è la lesione dell’integrità psicofisica della persona. I criteri che la legge fornisce per la liquidazione del danno biologico sono relativi soltanto nel caso di danni micropermanenti, ovvero di lesioni che non superano la soglia dei 9 punti di validità. Il criterio appena citato, però, si applica soltanto nei casi di infortuni stradali o responsabilità medica.
Per il calcolo degli altri tipi di danno biologico occorre consultare delle tabelle redatte dai vari tribunali italiani. Le più famose sono le tabelle milanesi, che vedremo in seguito.
Il Codice delle Assicurazioni fornisce alcuni criteri per calcolare il danno biologico e le micropermanenti. In particolare, occorre conoscere:
• L’età del soggetto;
• I punti di invalidità permanente attribuiti dalla perizia medico-legale (non più di 9);
• I giorni di danno biologico temporaneo;
• L’eventuale danno morale associato (solo nel caso di danno permanente);
• Le spese sostenute per le cure.

Come si calcola il danno morale

Il danno morale è quel tipo di danno che riguarda la sofferenza psichica o fisica subita da un soggetto in seguito ad un comportamento illecito di altri. La sofferenza può essere relativa a danni fisici, e in questo caso il danno morale va di pari passo con quello biologico, o psichici, appunto, come un disagio avvertito a causa di una lunga degenza in strutture ospedaliere.
Sono numerose le sentenze della Cassazione che riguardano il danno morale. La sentenza n.517 del 2006 stabilisce, dal momento che il calcolo del danno morale sfugge ad una precisa valutazione, deve essere il giudice a quantificare esattamente la liquidazione del danno morale. Il giudice, però, deve tenere conto delle sofferenze patite dal soggetto danneggiato, della gravità dell’illecito e degli altri elementi del caso. Tutti questi elementi devono consentire al giudice di pronunciare un risarcimento adeguato.
Inoltre, nel caso in cui il danno morale sia contemporaneo al danno biologico, non si avrà una moltiplicazione del risarcimento. Sarà sempre compito del giudice dover trovare un equilibrio tra i due tipi di danno, che alla fine determineranno il valore complessivo del risarcimento del danno (sentenza della Cassazione n. 8828 del 2003).

Il calcolo del danno esistenziale

Il danno esistenziale è un tipo di danno particolare, non riconducibile alle due categorie già citate, ovvero biologico e morale, ma che ha un’esistenza autonoma. Il danno esistenziale ha come conseguenza il peggioramento della qualità della vita del soggetto ma non è riconducibile a un danno psicofisico. Riguarda, piuttosto, la compromissione dei valori dell’esistenza del soggetto, compromissione che pregiudica la sua personalità.
La giurisprudenza si è a lungo dibattuto sulla legittimità dell’esistenza del danno morale, considerato necessario dal momento che la sua categoria comprende alcuni diritti tutelati dalle norme costituzionali.
L’analisi del’art. 2059 C.C., infatti, mette in evidenza il riferimento alle norme costituzionali, e dunque tutti i danni, anche quelli non patrimoniali, sono risarcibili a patto che ledano valori e beni che sono garantiti dalla Costituzione.
Le sentenze gemelle del 2003, pronunciate dai giudici di legittimità, hanno affermato la risarcibilità del danno esistenziale e lo riconducono all’interno della categoria del danno non patrimoniale, in riferimento all’articolo 2059 C.C. già citato. Secondo queste sentenze, il danno esistenziale non è risarcibile solo in caso di reato ma è possibile procedere al risarcimento del danno esistenziale solo in caso di lesione di diritti costituzionalmente garantiti.
In particolare, la sentenza n. 10414 del 2016 della Corte di Cassazione afferma che:
“Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacchè quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti”.
La sentenza n. 20795 del 2018 della Cassazione ha determinato i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, affermando che il giudice, nel calcolo del danno esistenziale, debba distinguere il danno dinamico-relazionale da quello morale, sulla base degli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni. Vanno valutati quindi:
• Il danno morale nell’accezione dell’aspetto interiore del danno sofferto;
• L’aspetto dinamico-relazionale, che incide in maniera negativa su tutte le relazioni della vita del soggetto.
Il criterio equitativo uniforme, poi, è valutato attraverso il sistema di tabelle adottato dagli Organi giudiziari e può essere aumentata sulla base della valutazione del danno dinamico-relazionale individuato dal giudice con apposita motivazione.
La Corte di Cassazione conclude citando l’art. 32 della Costituzione, e affermando così che danno biologico e danno esistenziale, appartenendo alla stessa area costituzionale, possono essere oggetto di duplicazione risarcitoria. Una valutazione differente andrà fatta, invece, in riferimento al danno morale.

Le tabelle milanesi nel calcolo del risarcimento

Nel calcolo del risarcimento del danno, il metodo più diffuso nella giurisprudenza è affidarsi alle tabelle che sono state elaborate dai vari tribunali italiani, per individuare il metodo più congruo per ripristinare la situazione danneggiata.
Le tabelle milanesi (o di Milano) sono il criterio di riferimento che è stato ormai assunto come parametro nazionale per il calcolo degli indennizzi.
La sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 della Cassazione ha stabilito che l’unico parametro da prendere in considerazione per il risarcimento del danno biologico sono le tabelle milanesi.
La normativa è stata poi aggiornata negli anni dalla stessa Corte di Cassazione, che nel 2016 ha chiarito come le tabelle di Milano non siano una fonte normativa di diritto, ma solo un parametro di valutazione per determinare la liquidazione in via equitativa che sarà pronunciata dal Giudice (sentenza n.9556/2016).
Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha affermato che il giudice debba adottare proprio il risarcimento del danno in via equitativa sulla base dell’ex art. 1226 C.C. e che debba necessariamente garantire non solo una valutazione adeguata al caso in oggetto, ma anche l’uniformità di giudizio di fronte a casi che sono giudicabili in modo analogo.
Questo significa che danni identici tra loro saranno risarciti alla stessa maniera, proprio per garantire un criterio di equità nonostante i casi siano valutati da giudici differenti. L’adozione delle tabelle milanesi, quindi, è stato un passo necessario visto che tali tabelle erano già ampiamente diffuse sul territorio nazionale al momento della pronuncia della sentenza della Cassazione.
La Cassazione ha ritenuto necessario assurgere le tabelle milanesi a parametro di riferimento dal momento che deve necessariamente esistere un criterio univoco che possa risarcire il danno biologico, dal momento che la salute è il bene più importante e garantito anche e soprattutto dalla carta costituzionale.
Ogni anno le tabelle milanesi sono aggiornate proprio dal tribunale di Milano, che rilascia nuovi parametri per la valutazione del danno a cui far riferimento. L’aggiornamento è importantissimo perché un’ulteriore sentenza della Corte di Cassazione afferma come il giudice debba utilizzare come parametro di riferimento al momento della liquidazione l’ultima tabella elaborata dal Tribunale di Milano (sentenza n. 33770 del 19 dicembre 2019).

Calcolo del risarcimento del danno: interessi

Nel risarcimento del danno per debiti di valore, come il caso degli incidenti stradali, il calcolo degli interessi può presentare una difficoltà pratica. Gli interessi vanno calcolati seguendo i criteri che sono stati determinati dalla sentenza 1712/1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. In particolare, gli interessi sono determinati dal giudice nel loro ammontare, e vanno calcolati a partire dalla data del fatto e non sulla somma complessiva che è stata rivalutata in seguito alla liquidazione del danno, ma sulla somma originaria che va rivalutata anno dopo anno. Il riferimento, quindi, è quello degli indici di rivalutazione monetaria che vanno applicati alla somma originaria che sarà incrementata nominalmente. Il giudice stabilirà quindi il tasso di interesse da applicare, quando sceglie di risarcire il danno in via equitativa: il tasso, infatti, potrà essere maggiore o minore a seconda della fattispecie concreta in esame. Diverso il caso in cui occorra calcolare gli interessi sul danno biologico che comprende il pagamento di un acconto. Secondo la sopracitata sentenza della Cassazione, la posizione del creditore sarà duplice e terrà conto: • Del periodo che va dal sinistro al pagamento dell’acconto. Durante questo periodo il danneggiato non ha percepito nulla, e quindi, avendo perso la possibilità di avere profitto dall’intera somma dovuta, gli interessi dovranno essere conteggiati sull’intera somma che il giudice ha stabilito come titolo risarcitorio, quindi senza detrarre l’acconto. • Del periodo che va dal pagamento dell’acconto in avanti. In questo caso il danneggiato ha ricevuto una parte del risarcimento, ma ha perso la possibilità di far fruttare la differenza tra credito e acconto. Gli interessi, in questo caso, saranno conteggiati sulla differenza e non sull’intero valore della liquidazione del risarcimento.

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